Ci conosciamo raccontandoci, narrando la nostra vita, a noi stessi, a noi stesse, a chi ci avvicina e a chi avviciniamo. A volte non ci accostiamo e non ci lasciamo accostare: per non raccontarci. Altre volte non ci raccontiamo o ci narriamo male: per non avvicinarci. Alcune nostre storie hanno finali prevedibili e statici, altre hanno morali troppo rigide. Di alcune perdiamo il filo; tra i fili di altre i nostri passi si possono aggrovigliare, e questo può fare male. Capita che non sappiamo più chi c'era una volta e chi non c'era; non accettiamo che qualcuno, qualcuna, non ci sia stato, non ci sia mai o non ci sarà più.
Credo che possiamo cambiare i nostri racconti: trasformarli ed esserne
trasformati e credo anche che questo movimento sia costante e implichi
una rinnovata consapevolezza sui nostri vissuti e sul nostro agire.
L'impegno primario - che attende chi decide di avventurarsi in un
percorso psicoterapeutico - potrebbe dunque non essere più la
domanda su cosa fare ma su come riconoscersi e ridirsi.
Il percorso inizia dal rinvenimento del Desiderio ovvero di un sé desiderante, sempre nascente e in dilatazione...